“giornata di formazione ed informazione contro la violenza di genere e gli abusi sui minori”

La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani.

E’ forse la più diffusa.

Non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale.

Finché continuerà, non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso

l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace.

Kofi Annan

Segretario Generale delle Nazioni Unite 8 marzo 1999  

La violenza contro la donna, che avvenga dentro o fuori le mura domestiche, è stata definita dall’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993, come:

« Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata ».

Da alcuni anni, quindi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha cominciato a lanciare l’allarme sulla violenza come fattore eziologico e di rischio in una serie di patologie di rilevanza per la popolazione femminile.

Una particolare attenzione è stata riservata dall’OMS alle patologie mentali ed alla depressione, di cui le donne soffrono da due a tre volte più degli uomini.

La violenza sulle donne secondo l’OMS, è tra i principali problemi di salute pubblica (Violence against women and urgent public healt priority, 7 febbraio 2011).

In base ai dati sino ad oggi a nostra disposizione, le violenze maschili contro le donne più diffuse nel mondo, sono le violenze nelle relazioni di intimità ad opera di partner presenti o passati (cfr. Garcia-Moreno et al., 2005; A/61/122/Add., General Assembly, 61° Sessione, 2006 p. 37):  da violenze e molestie sessuali da parte di compagni, mariti conviventi, conoscenti o estranei, a comportamenti persecutori (stalking) ed omicidio, che sono le forme più diffuse nel mondo occidentale, si passa a fenomeni ancor più aberranti come gli aborti selettivi o il lancio devastante di acido per punire donne che rifiutano una proposta o scappano da un marito o un fidanzato violento o comunque non voluto, si verificano invece in aree specifiche. Si stima ad esempio che a livello mondiale aborti selettivi e infanticidi abbiano fatto scomparire fra i 60 e i 100 milioni di bambine; le aree più colpite sono la Cina, Taiwan, India, Pakistan Sud Corea e alcuni paesi dell’Africa subsahariana (Watts e Zimmermam, 2002, p. 1236).

Recenti studi indicano che da un quinto ad un quarto di tutte le donne in Europa, hanno subito atti di violenza fisica almeno una volta nella loro vita  e più di 1/10 delle donne ha subito violenza sessuale che comporta l’uso della forza. (Relazione al Parlamento Europeo del 18.3.2011- Commissione per i diritti della donna e dell’uguaglianza di genere)

Per le donne in Europa, l’omicidio  è la prima causa di morte, più degli incidenti stradali, dei tumori  e della fame. E,  il più delle volte, tutto ciò si consuma in ambito familiare o comunque di parentela e di relazioni affettive.

Da varie indagini statistiche, si apprende che la famiglia o meglio le relazioni affettive, uccidono in Italia, più della malavita.

Nel nostro Paese, da una donna uccisa ogni tre giorni nel 2010, si è passati nel 2012 al dato numerico di una donna uccisa ogni due giorni. Dal 2006 in media si sono avuti 200 omicidi l’anno e nel 2012 sono state 125 le donne uccise.

Da qui il bisogno urgente, come dichiarato dalle Nazioni Unite, di “riconoscere alle donne i principi universali dei diritti all’eguaglianza, alla sicurezza, alla libertà, all’integrità ed alla dignità di tutte le persone umane”. Perché come diceva Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, “ la violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani. E’ forse la più diffusa. Non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà, non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace”.

Oggi 4 Marzo 2013,  nel palazzo di vetro dell’Onu, a New York, si sono aperti i lavori della 57esima sessione della Commissione sulla situazione delle donne (Commission on the Status of Women), che durerà fino al 15 marzo. Il tema prioritario quest’anno è l’eliminazione e la prevenzione della violenza sulle donne e le bambine. I rappresentanti degli stati membri, quelli delle agenzie ONU e le organizzazioni non governative accreditate da tutti i continenti affronteranno questo tema analizzando sia le migliori pratiche per la prevenzione della violenza, sia la capacità degli stati di offrire dei servizi di supporto e assistenza alle vittime di violenza, e quindi le possibili aree di miglioramento.
Le stime. UN Women stima che sette donne e ragazze su 10 durante la loro vita subiscano maltrattamenti o violenze, o addirittura vengano stuprate, abusate, mutilate, la maggior parte dal loro partner o persone che conoscono. La violenza contro le donne e le ragazze è da considerarsi a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani, che ha pesanti ripercussioni sulla famiglia e le comunità nelle quali vivono le vittime. Non solo: ostacola lo sviluppo perché ha enormi costi sociali, oltre che economici, tra cui ad esempio le ore di lavoro perse per ricoveri e cure. Infatti ogni anno negli Stati Uniti, a causa delle violenze sulle donne, si stima che vengano spesi 5,8 miliardi di dollari. Più di 125 paesi del mondo hanno delle leggi specifiche per contrastare la violenza domestica, ma sono ancora 603 milioni le donne che vivono in nazioni dove questo fenomeno non è considerato un crimine.

Ciò ha fatto sentire forte l’esigenza di creare all’interno dell’ONU una Commissione contro la violenza sulle donne, animata dal Ministro della Giustizia norvegese e dall’ex premier Zapatero, che ha affidato ad una Relatrice Speciale, Rashida Manjoo, il compito di monitorare la situazione negli Stati membri.

Nella sua relazione in occasione della visita ufficiale in Italia nel mese di Gennaio 2012, la Manjoo ha riferito che “anche se sono stati fatti notevoli sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza che però risale al 2010, questi risultati non hanno però portato ad una diminuzione dei femminicidi, o non sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e  delle bambine”, tanto che nel nostro Paese come riferisce la Relatrice ONU, purtroppo solo il 4% delle donne che subisce violenza, denuncia nel caso di violenza agita da partner o ex partner (contro ad es. il 31% della Polonia), dato che aumenta sino al 7% nel caso di violenza agita da estranei.  

Il tasso di denuncia è basso, anche se le donne ne parlano con i familiari; risulta, invece, più elevato nel caso in cui le donne si siano rivolte ad operatori del pronto soccorso, ad avvocati, a magistrati, alla polizia, ai Carabinieri, ad un medico o infermiere.

In tutti i paesi il silenzio è più frequente quando le violenze si verificano in una relazione di intimità: l’Italia è, fra tutti i paesi europei, quello in cui le donne parlano meno spesso all’esterno della situazione di violenza che subiscono e meno spesso denunciano.

E’ importante ricordare che in base alle esperienze riportate da numerosi Centri antiviolenza, laddove vi sia un momento di informazione e sensibilizzazione appropriata sul problema (l’uscita di un articolo che parli di violenza, l’organizzazione di iniziative varie) la richiesta di aiuto subisce un’impennata immediata, che nel tempo si attenua. In linea generale, e secondo l’esperienza verificabile in Emilia Romagna, laddove un Centro antiviolenza abbia potuto svolgere con regolarità la sua attività nel corso degli anni il numero delle donne accolte tende ad aumentare.  (Creazzo, 2003,2008).

Sono preoccupanti i dati che emergono dal rapporto ONU soprattutto riguardo all’Italia ove la violenza in famiglia è una realtà molto diffusa, ma anche poco denunciata: il 76% delle violenze nel nostro Paese avviene tra le mura domestiche ad opera di ex partner, mariti, compagni o persone conosciute ed è, stando all’Onu, la causa del 70% dei femminicidi.

A seguito di questa indagine, il nostro Paese è stato inserito nella lista dei Paesi  c.d. ad  “alto tasso di femminicidio”, insieme a molti Paesi del Sudamerica piuttosto che tra quei restanti 125 Paesi del mondo in cui “le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita”.

Dalla visita della Manjoo è scaturita una serie di richiami al governo italiano sulle azioni e le politiche da intraprendere per migliorare la condizione delle donne all’interno della società considerato che nel nostro Paese come ha riferito, “la violenza contro le donne è un problema significativo, la cui soluzione “è un obbligo internazionale”.

Recentemente importantissimi in avanti sono stati fatti di recente dal nostro Paese:

-con la recentissima ratifica da parte dell’Italia, avvenuta il 19 Settembre u.s., della Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, siglata a Lanzarote nel 2007, attraverso cui  il nostro Paese rafforza il proprio sistema di protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso e si adegua agli altri Paesi europei, introducendo due nuovi reati quali l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia e l’adescamento di minorenni, inasprendo altresì le pene per tutta una serie di reati (dai maltrattamenti in famiglia a danno di minori, ai reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati a sfondo sessuale a danno di minori);

– con la  firma il 27 Settembre u.s., a Strasburgo, del Ministro del Lavoro, delle Politiche Sociali e delle Pari Opportunità Elsa Fornero, della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che rappresenta per l’Italia, un passo fondamentale per proseguire l’azione del Paese contro queste forme di violenza che colpiscono le donne e le bambine.

La Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l’11 maggio del 2011 e ratificata da molti Paesi prima di noi, costituisce oggi il trattato internazionale di più ampia portata per affrontare questo orribile fenomeno e mira a promuovere l’eliminazione delle discriminazioni per raggiungere una maggiore uguaglianza tra donne e uomini. L’aspetto più innovativo del testo è senz’altro rappresentato dal fatto che la Convenzione riconosce la violenza sulle donne, come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, una conseguenza dell’ineguaglianza di genere e un portato della cultura del silenzio e della negazione.

Dinanzi a questo scenario a tinte fosche, cosa possiamo fare noi tutti e noi Lions?

Il primo obiettivo è promuovere la CONOSCENZA  più ampia possibile del FENOMENO della violenza sulle donne e sui minori.

Il secondo obiettivo è costituito dalla PREVENZIONE, attuata attraverso l’informazione alle donne, agli uomini, agli studenti, alla società tutta.

-Occorre far comprendere alle donne e alle ragazze che godono di diritti irrinunciabili e che gli stessi vanno rivendicati. Occorre una nuova educazione affettivo-sentimentale, eliminando stereotipi propri di una mentalità sessista.

Le ragazze sono educate ad essere passive, compiacenti, dipendenti e seduttive (ric. la c.d. sindrome di Lolita di cui parla la Tani nel suo libro citando la Oliverio Ferraris), mentre i ragazzi sono educati ad essere indipendenti, ad affermare la propria virilità e mascolinità con la forza e l’aggressività. Alle donne è permesso piangere, agli uomini no, ma molti ragazzi sentono il peso di questo codice della virilità e non sanno affrontare le frustrazioni come p.es. la fine di una relazione.

Da recenti indagini nelle scuole superiori , è emerso che 1/5 delle ragazze ha subito abusi fisici e sessuali, mentre l’eccessiva gelosia dei fidanzati viene percepita come attestazione d’amore e non come minaccia all’incolumità.

-Le donne non devono più essere vittime passive ma cittadine attive e partecipi dei diritti umani.

-Educare alla legalità giovani donne e giovani uomini perché costoro rappresentano il futuro che è intorno a noi e per loro noi abbiamo il dovere di lottare per credere in un mondo migliore, ove la violenza non sia più nell’aria che respiriamo.

Credo che si possa fare molto, proprio in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4 della Costituzione italiana:

1)affiancando le istituzioni regionali, provinciali e comunali nell’attività di  informazione e sensibilizzazione circa le varie tipologie di condotte maltrattanti e le possibili azioni giuridiche e pratiche attraverso cui tutelare l’incolumità fisica e psicologica delle vittime di violenza; 

2) sviluppando nelle scuole, campagne di informazione e attività culturali per contrastare la violenza in senso stretto, coinvolgendo i Dirigenti Scolastici, i docenti e i genitori alle iniziative che avranno l’obiettivo etico di abbassare la soglia di tolleranza nei confronti di tutte le violenze e le discriminazioni, diffondendo la cultura della parità e del rispetto tra uomo e donna e stigmatizzando tutte le condotte aggressive anche tra adolescenti.

Occorre una vera e propria “terapia culturale” come mi piace definirla, affinchè si comprenda che la violenza sulle donne non è solo  “violenza contro il singolo, ma anche contro l’intera società” .

                                                        Avv. Lucia Elsa Maffei

Responsabile Distrettuale del Comitato per il tema di Studio Nazionale “Dall’abuso sui minori alla violenza sulle donne: combattiamo il silenzio”